DE ZERBI: “ERA PIU’ BELLO IL CALCIO DI UNA VOLTA, MA IO VIVO ANCORA DI PASSIONI E PORTO LA MIA BRESCIANITÀ NEL LAVORO QUOTIDIANO”

Intervista confessione a Milva Cerveni nella trasmissione “Dodicesimo in campo”: “Non mi piace la prevenzione e la cattiveria che ci sono oggi con l’uso selvaggio dei social, ma anche il pallone rispecchia la società. Non mi piace che le decisioni vengano prese da chi non sa cosa significa giocare e allenare. Nel calcio ho trovato amici per la vita, ma anche chi mi ha tradito per tornaconto personale. Non faccio mai il forte con i deboli perchè mi ricordo bene quando io ero in una situazione di svantaggio e come si comportava certa gente con me. Non vedo cosa ci sia di male nell’essere fedele alle mie origini e al Brescia, la squadra per cui tifo da sempre”

Brescia. L’allenatore del Marsiglia Roberto de Zerbi, ha rilasciato un’interessantissima intervista per la trasmissione “Dodicesimo in campo”, in onda tutti i mercoledì sera su Seila Tv e condotta da Milva Cerveni, in cui ha rimarcato nuovamente il suo legame con la città di Brescia, e la sua fede per i colori biancoazzuri che non si è mai estinta, nonostante siano passati tanti anni- e tante esperienze sia da calciatore, che da allenatore- da quando quel giovane ragazzo di Mompiano andava allo stadio in Curva Nord per esultare ai gol della squadra della sua città.

Chi è Roberto de Zerbi?

“É una persona che vive di passioni, molto legato alla tradizione e a ciò che era da piccolo; un uomo che cerca di andare avanti per la sua strada mantenendo fissati pochi valori, ma senza compromessi.”.

Il fatto di non essere uno yes man, ti ha mai creato qualche ostacolo nella tua carriera?

” Forse si, ma col tempo ho imparato a non avere rimpianti e rimorsi: quando non mi pento di aver preso una determinata posizione, significa che ho preso la decisione migliore. Non vuol dire prendere sempre le scelte più giuste, bensì quelle più affini al mio modo di pensare”.

Prima hai parlato di valori, quali sono per te i più importanti?

“Io cerco di essere giusto con tutti, soprattutto con i più deboli- dato che io stesso mi sono trovato in situazioni di svantaggio, e mi ricordo come si comportavano gli altri – e poi leale, il che non implica non potersi arrabbiare o litigare con gli altri, ma al contrario significa dire all’interlocutore le cose correttamente e in modo diretto”.

Com’è cambiato il calcio da quando hai iniziato la tua carriera da calciatore? Era meglio prima o adesso?

“Forse sto diventando vecchio… e come tutti i vecchi rimpiango il passato. Credo che il calcio di una volta fosse molto più bello: c’era rivalità in campo e allo stadio ma tutto finiva lì insieme alla partita; oggi, anche grazie all’utilizzo selvaggio dei social, è diventato un tutti contro tutti in cui si accanisce contro persone che nemmeno si conoscono. Poi è chiaro, l’evoluzione del calcio coincide con quella della società, rappresentando pregi e difetti di ogni epoca storica”.

Sei stato in società importanti sia da calciatore, sia in questo momento da allenatore, ma non hai mai rinnegato la tua fede per Brescia città e per Il Brescia…

“Assolutamente, non vedo cosa ci sia di male. Se voglio esprimere me stesso devo per forza portare con me le mie origini e la mia identità: se non fossi stato prima tifoso, non sarei diventato prima calciatore e poi allenatore. Porto la mia brescianità anche nel lavoro quotidiano che svolgo in campo, sia nelle scelte, sia nel tipo di carattere che voglio trasmettere alla mia squadra”.

Da calciatore, ma anche da allenatore, sei sempre stato senza peli sulla lingua…

“Diciamo di si, anche se non sono completamente senza filtri. Certe volte vorrei dire o fare qualcosa di più, ma bisogna essere bravi a capire le situazioni. Vado dritto al punto per le cose importanti, quelle che contano veramente”.

Hai anche compiuto delle scelte difficili che molti tuoi colleghi non avrebbero fatto, per esempio quando è scoppiata la guerra in Ucraina…

” Quando è cominciata la guerra sono rimasto là a dare supporto ai giocatori stranieri fino a quando sono finalmente riusciti ad abbandonare il paese per ritornare a casa dalle loro famiglie. In quel momento ho pensato in prima battuta a cosa avrebbe fatto mio padre in quella circostanza, e poi anche agli insegnamenti ricevuti da lui e da mia mamma”.

Tuo padre è un punto di riferimento?

“Assolutamente si. Mi ha trasmesso la passione per il calcio e per il Brescia, ma soprattutto mi ha insegnato a stare con gli altri. Quando sei giovane puoi pensare che qualche volta tuo papà abbia torto, ma invecchiando mi accorgo che mi ritrovo in molte cose che mi diceva”.

Cosa ti piace del mondo che ti sei scelto, e cosa cambieresti?

“Del mio lavoro da allenatore mi piace creare squadre nuove e plasmarle secondo i miei principi. Questo aspetto del calcio mi fa ancora sognare, e mi rende felice ogni volta che la mattina mi alzo per andare al campo. Non mi piace che ai vertici del calcio ci siano persone che prendono decisioni senza sapere cosa vuol dire giocare e allenare. Anche per la questione delle troppe partite, secondo me i giocatori e gli allenatori dovrebbero avere più peso, essere sentiti da chi stila i calendari”.

Hai sempre avuto un ottimo rapporto con tutte le tifoserie delle squadre in cui sei stato…

“Credo che, al di là del risultato, se dimostri di mettere impegno e serietà in quello che fai, il rispetto da parte dei tifosi ci sarà sempre. Per esempio, a Benevento sono arrivato tra le proteste dato i miei trascorsi a Foggia, ma nonostante la retrocessione sono riuscito a conquistare il pubblico, anche quella parte più diffidente; i tifosi, quasi sempre, capiscono la persona che hanno davanti”.

In particolare nel tuo caso, dal momento che sei sempre stato fedele al Brescia anche quando eri calciatore, evitando di andare a baciare la maglia delle squadre di cui facevi parte…

“É vero. questo il tifoso lo riconosce. Molte curve mettono lo striscione “Oltre il risultato” perchè percepiscono quando la squadra ha dato tutto in campo, anche se si perde. Quando io ero tifoso il Brescia non otteneva grandissimi risultati, ma eravamo orgogliosi quando vedevamo i giocatori lottare e sudare per la maglia, al di là della qualità del giocatore, della categorie e del risultato”.

Soprattutto da allenatore, hai scelto quasi sempre squadre con ambienti ostici, qual’ e la differenza tra il tifo italiano e quello estero?

“Prima di tutto ho intrapreso questa nuova avventura perchè dopo le ultime esperienze volevo ritornare in un ambiente ostile, e Marsiglia è una delle piazze più calde il cui tifo è molto simile a quello italiano. In Inghilterra invece è tutto diverso: non esistono gruppi organizzati, motivo per cui quando partono i cori canta tutto lo stadio, anche se non c’è la stessa intensità e trasporto delle curve nostrane”.

Nella tua vita sei stato più aiutato o più tradito da chi ti era vicino?

“Nella mia vita lavorativa ho trovato amici anche fuori del campo, calciatori che sono diventati amici e tante altre bravissime persone. Allo stesso tempo, sono stato anche tradito da collaboratori e dirigenti interni alle società, che mi hanno usato per un loro tornaconto personale, queste persone è meglio perderle che trovarle”.

Se tu fossi il presidente di una società, prenderesti De Zerbi come allenatore?

“Si, senza fargli promesse irrealizzabili, ma dicendogli la verità nuda e cruda. Lo prenderei se avessi la possibilità di farlo sognare, perchè mi piace ancora svegliarmi la mattina avendo in testa degli obiettivi grandi da raggiungere che mi facciano sentire vivo”.