LA BRESCIANITA’, QUID IN PIU’

Nella vittoria di Lecco ben quattro bresciani (Cistana, Mangraviti, Paghera e Fogliata) al fischio d’inizio: ne ha tratto vantaggio l’atteggiamento aggressivo, disposto alla sofferenza e la mentalità vincente di tutta la squadra. Solo a cavallo tra gli anni Novanta e Duemila ce n’erano di più. E dopo quasi due anni il Brescia è tornato a vincere due partite di fila senza prendere gol

Brescia. Per un attimo è stato come riavvolgere il nastro con la macchina del tempo, tornando a cavallo tra la fine dei Novanta e l’inizio dei Duemila. Erano più di vent’anni che non vedevamo un Brescia così bresciano. Nell’undici di partenza della squadra che ha firmato il blitz a Lecco, c’era un poker di indigeni tra l’altro cresciuti con la V sul petto, figli autentici della Leonessa: Fabrizio Paghera (31 anni), Andrea Cistana (26 anni), Massimiliano Mangraviti (25) e Riccardo Fogliata (19). In panchina altri due nativi bresciani: Riviera e Nuamah. Quattro su undici (36%) e sei su ventuno (28%).

Sangue puro. La brescianità come quid in più. “Gente che ci tiene – ha ammesso a fine partita Gastaldello – anche se tutti devono sentirsi addosso il senso di appartenenza, questo è il ruolo del professionista”. In linea teorica sì. Poi però la pratica è un’altra cosa. I calciatori bresciani che hanno la fortuna/bravura di poter giocare per la squadra della loro città sono esemplari unici, non riproducibili: i geni si ammirano, non fanno scuola. Tanto più ai giorni nostri quando nei club non c’è la pazienza di assorbire il nettare degli dei del calcio per costruirsi i giocatori in casa e si va all’estero per prendere gente pronta subita, che poi magari invece pronta non è. La gestione Cellino ha avuto picchi di esterofilia come se non ci fosse un domani, salvo poi scoprire che nell’unico anno vincente (su sei) la formazione tipo aveva un solo straniero: Alfonso; Sabelli, Romagnoli, Cistana, Martella; Bisoli, Tonali, Dessena; Spalek; Donnarumma, Torregrossa. Vorrà pur dire qualcosa. Servono giocatori che conoscono campionato, usi e costumi della squadra in cui giocano, per marcare il tempo e l’epoca a cui appartengono.

Dalla città alla provincia. Cistana, da Porta Cremona, è alla sesta stagione consecutiva con le Rondinelle. Ha indossato solo altre due maglie (Ciliverghe per 28 partite e Prato per 10). Molto difficilmente troverà un punto d’incontro con Cellino per rinnovare il contratto in scadenza a giugno, ma questa è un’altra storia e ci sarà tempo per scriverla. Massimiliano Mangraviti, da Rovato, è alla quinta di fila in biancoazzuro dopo aver affilato le ossa con Fondi, Pro Piacenza e Gozzano. Anche lui è a scadenza, qui le chances di rinnovo sono un po’ più alte. Fabrizio Paghera ha debuttato a soli 17 anni con la squadra per la quale tifa, quando Cistana e Mangraviti facevano i raccattapalle al Rigamonti. Ha dovuto staccare il cordone ombelicale troppo presto, per eccesso di miopia di un direttore sportivo come Andrea Iaconi che non è certo rimpianto da queste parti, ma dopo undici anni si è preso la grande soddisfazione di tornare a casa per chiudere il cerchio. Quando “baby pantera” esordì con il Brescia in serie B, Fogliata doveva ancora finire l’asilo. Sabato a Lecco, Gastaldello li ha messi uno fianco all’altro, affidandogli la mediana. Da Roncadelle a Castrezzato, un filo rosso ha unito il centrocampo delle Rondinelle. Al “Rigamonti-Ceppi” è maturata una bella vittoria per le giocate di qualità di Borrelli e Bianchi, ma è stato anche un pomeriggio da lacrime e sangue. Nella rumba lariana, è uscito lo spirito bresciano, quello dei quattro moschettieri capaci di mettersi a traino tutto il resto della squadra. Tre punti figli della voglia di sacrificarsi, con un atteggiamento che i tifosi bresciani non ricordavano più.

Ritorno al passato. L’anno scorso non era mai successo che il Brescia vincesse due partite senza subire gol. L’ultimo precedente risaliva alla gestione Inzaghi: Benevento-Brescia 0-1, Brescia-Pordenone 1-0 nel novembre 2021. Quasi due anni dopo si riscopre il dolce sapore di sei punti con due clean sheet. E la firma in calce della brescianità riporta a quel campionato di B vinto nel ‘99-2000 quando con Sonetti in panchina era usuale vedere un Brescia con in campo nell’undici titolare contemporaneamente Antonio ed Emanuele Filippini, Bonera e Bonazzoli. O anche l’anno dopo, il primo storico di Baggio, quando Bonazzoli non c’era più, ma in compenso rientrarono alla base Diana e Pirlo e iniziava ad affacciarsi Guana. Fu l’anno dell’ottavo posto in serie A, il risultato migliore di sempre nella storia del Brescia. Di un Brescia con dna tipicamente bresciano.