AYÈ, UN MEDIO STRITOLATO NELL’INGRANAGGIO DEL MASSIMO

Brescia. Adieu, monsieur Florian. Senza troppi rimpianti da parte di chi scrive, che per altro non ha mai fatto mistero di non accettare la sua condizione. Al netto dell’impegno e della corsa che le abbiamo sempre riconosciuto, specificando però ogni volta che il calcio non è una maratona e oltre alle gambe ci vogliono anche i piedi, la tecnica, l’intuito e l’intelligenza calcistica, riteniamo che lei sia un giocatore di medio livello che in un roster di serie B ci può anche stare, ma che avrebbe dovuto giocarsi il posto alla pari con i suoi compagni. Non averlo sempre e comunque garantito per editto presidenziale.

I numeri, che poi sono quelli che più contano, dicono che Florian Ayè ha segnato 31 gol in 121 partite – tra campionato, coppa Italia, playoff e playout – in quattro stagioni con la maglia del Brescia. Una media di circa una rete ogni quattro partite. Spicca l’inaccettabile 0 in 22 gare di serie A, quando, ancor più che Balotelli, fu lei, signor Ayè, l’intoccabile che – suo malgrado – andò a scombussolare l’affiatata coppia Donnarumma-Torregrossa. Nell’anno dell’exploit realizzativo (il 20-21 in B con 16 reti in campionato e 1 in Coppa Italia) l’ex Clermont è partito in panchina solo 8 volte (mettendo per altro poi sempre piede in campo) a fronte di 30 match giocati dall’inizio. Il 21-22 è stato un torneo condizionato dagli infortuni, quando era disponibile il principino francese ha giocato dall’inizio 11 volte e in altre 8 occasioni è entrato a gara in corso: Inzaghi è stato l’unico allenatore a provare ad opporsi alla regola non scritta del “si gioca in 10 più Ayè”. E l’ha pagata con l’esonero a sette giornate dalla fine. Nell’ultima stagione, quella della dolorosissima retrocessione sul campo, Florian è partito titolare 33 volte in 37 partite in cui era convocabile, segnando la miseria di 8 gol (più uno in Coppa Italia).

Nel frattempo, per fargli spazio, MC ha stritolato nel suo meccanismo infernale attaccanti del calibro di Torregrossa, Donnarumma, Palacio e Moreo. Tutti messi da parte e poi venduti per non togliere spazio al prediletto. Ed è questo, fondamentalmente, che non abbiamo mai digerito. E che ha creato un cortocircuito anche nello spogliatoio dove era imbarazzante sapere che una maglia aveva già il proprio padrone. Per non parlare di molti tifosi, comprensibilmente indispettiti di fronte a prestazioni indifendibili ben sapendo della corsia preferenziale per la quale, bene o male che giocasse, questo centravanti sarebbe stato poi riproposto anche la partita dopo. Cosa abbia trovato “l’Iluminato” di così speciale in un giocatore normale resta un mistero. Una sola volta in sei anni abbiamo visto l’uomo alzarsi dal monte della seggiolina più in alto della tribuna centrale per esultare senza freni a un gol del Brescia ed è stato proprio in occasione di una rete di Ayè; occhi lucidi, il pugno a battersi il petto e quell’urlo quasi strozzato in gola: “Ayè, Ayè, Ayè, ha segnato Ayè” disse mentre si guardava attorno, cercando approvazione. Una scena francamente patetica. Il francese è così finito a sua volta nel meccanismo tritatutto messo in atto senza che l’avesse mai chiesto, preteso, perchè da uomo di buona educazione e di valori morali sa che nella vita bisogna conquistarsi tutto. Avrebbe potuto essere un onesto pedatore con la maglia azzurra e la V sul petto, uno che di volta in volta poteva anche tornare utile. Passerà alla storia sicuramente come lo straniero più prolifico, ma anche come quello del posto garantito. Quando invece un po’ di precariato non avrebbe fatto male nè a lui nè alla squadra, che nei quattro anni di Ayè a Brescia ha collezionato due retrocessioni e due mancate promozioni.