LA GENUINITA’ DI BIANCHI E IL NICHILISMO DEL REGOLAMENTO

L’ammonizione subita dall’attaccante del Brescia per ”eccesso di esultanza” appiattisce le belle emozioni del calcio

Brescia. Brescia contro Benevento, minuto 90 + 2, Bertagnoli centra dal fondo sul dischetto del rigore, Bianchi controlla e tira un missile sul primo palo: è il goal della vittoria. Boato della Nord, lo stadio che trema, Bianchi raggiunge gli spalti, si arrampica tra i tifosi, esulta insieme a loro, si gode il suo momento con chi ha la Leonessa nel cuore, rientra in campo, abbracciato dai compagni, si becca il giallo, come da regolamento.

Già. Cosa c’è di più genuino di un ragazzo che risolve una gara sportiva, e decide di godersi il contatto coi suoi tifosi? Apparentemente niente, a parte i regolamenti ottusi, scritti da personaggi che poco hanno a che vedere con la passione sportiva, e che cercano sempre un motivo per sedare le emozioni della gente. Perché qualcuno si potrebbe sempre offendere, se esageri! E allora? Ti togli la maglia? Capisco se sotto metti una scritta offensiva, ma la canottiera? Eppure è giallo. Salti dieci secondi in curva, esulti in modo troppo vistoso? Ancora giallo. Si può godere, ma non troppo, al giorno d’oggi, che se no c’è qualcuno che se ne ha al male, c’è quello che soffre per il goal subìto, povera stella, non si fa. E’ questa specie di nichilismo che viene imposto, un appiattimento delle emozioni che permette di sopportare qualunque cosa senza lasciarsi coinvolgere, continuando la nostra esistenza, senza farci coinvolgere dagli eventi. Una specie di resilienza delle emozioni. Il nichilismo è una filosofia ben più complicata, ma si applica benissimo a questi fatti.

A fine anni 70 e inizio 80, si esultava moderatamente, i giocatori alzavano le braccia, due abbracci coi compagni, si ripartiva a giocare, poi è arrivato lui, o ameno l’ho notato io, un certo Paolo Pulici, punta del Toro che, quando segnava, si arrampicava sui cartelloni sotto la curva, in piedi, al cospetto del pubblico che lo adorava, per quei dieci secondi di intenso amore calcistico, che nessuno si sognava di censurare: da quel periodo cominciarono le esultanze personalizzate.

Ma  non sempre, finire tra i tifosi in festa, porta bene: tale Martin Palermo, decise di “volare” verso i suoi tifosi, loro verso di lui, cedette il parapetto, tibia e perone fratturati. Candreva scivolò verso la curva della Lazio, finendo poi sostituito, Paulo Diogo rimase impigliato con la fede ( vedi, a sposarti?) nella rete metallica divisoria, lasciando sul posto due falangi.

Ma torniamo ai tempi nostri, dove bisogna misurare le emozioni, come fanno in America col football e il baseball, tutti allo stadio, pop corn e bibita, se vince tutti a casa contenti, se no, pazienza.

Non fa per me, che sono cresciuto in una famiglia dove, se perdeva il Brescia, mia mamma si rifiutava di mangiare, e restava “gnecca” per due giorni, io ci soffro, quando si perde, e voglio godere quando vinciamo, è mio diritto vivere le emozioni della partita, almeno allo stadio, in maniera intensa, e non vanno disincentivate limitando le esultanze, se non quelle chiaramente offensive, dei calciatori. Ci vorrebbero tutti come quelli che guardano il film horror al cinema e, mentre fanno a pezzi la malcapitata di turno, si mangiano rumorosamente le patatine, tanto è un film, è tutta finzione.

Ma il calcio no, non funziona così…

Ezio Frigerio

(Nella foto, pubblicata da diversi giocatori del Brescia sui loro profili social, l’esultanza di Flavio Bianchi dopo il gol al Benevento)