Brescia. “Ci mettiamo due anni per imparare a parlare e altri cinquanta per imparare a tacere” sosteneva Ernest Hemingway. A qualcuno però non bastano nemmeno quei cinquanta… I guai giudiziari che stanno attanagliando Massimo Cellino hanno provocato alcune reazioni, nell’ambiente del popolo biancoazzurro, che fanno rabbrividire. Qui non si tratta di voler interferire con una giustizia che è doveroso continui a fare il suo corso, ma di pensare al bene del Brescia calcio, che è sovrano. Leggere, sentire, vedere reazioni soddisfatte, enfatiche, goduriose su quanto deciso dal Tribunale del Riesame fa riflettere sulla tristezze di certi personaggi, che sono poi il riflesso di questo mondo.
Vedere una persona in difficoltà provoca in alcuni un perverso, sottile piacere che riconduce ai fallimenti di quella stessa persona, che aspetta la luce riflessa per sentirsi meno solo con i propri guai, sbagliato, improduttivo. Non siamo mai stati teneri di recente con Massimo Cellino, che ha commesso tanti, troppi errori a livello tecnico e anche con certi atteggiamenti fatti di prepotenza, arroganza, prosopopea. Il suo “voler insegnarla a tutti” a tratti è stato davvero insopportabile, ma ciò non toglie che meriti ancora un processo giusto, fino all’ultimo grado di giudizio. I discorsi del “tanto peggio, tanto meglio” fatti da chi non lo vuole più alla guida del Brescia calcio sanno di stantio, autolesionistico, smargiasso. La combattività, in questo momento così delicato, di Cellino (“il progetto tecnico va avanti, cerco due centrocampisti e un terzino”) non può non generare un pizzico di simpatia anche in chi, come noi appunto, ha ritenuto opportuno sottolineare i suoi sbagli. Che vorremmo ancora poter evidenziare, sperando ovviamente che li limiti. Sperare che tutto finisca a carte quarantotto vuol dire sperare che il Brescia scompaia in un batter di ciglio e scusate, ma anche in questo caso non ci leghiamo a questa schiera preferendo morire pecora nera. Fa infine riflettere, ma purtroppo non avevamo dubbi che così sarebbe stato, il silenzio di gran parte di istituzioni e imprenditoria bresciana su una vicenda che è vero riguarda un soggetto e una società privata, ma pur sempre di interesse pubblico.