Il doppio ex di Parma-Brescia: “Orrico e Pasinato mi diedero in mano la squadra poi in biancoazzurro dissero che ero finito, ma in gialloblù vinsi trofei europei con Scala e Sacchi mi chiamò anche in azzurro. Van de Looi? Un play deve giocare a uno, massimo due tocchi”
Brescia. Tra i suoi mille viaggi che deve fare come allenatore dell’Italia Under 16, ma allo stesso tempo anche come supervisore della 15 e della 17, può capitare di vedere Daniele Zoratto passeggiare per le vie del centro di Brescia. Da metà anni Ottanta, quando arrivò nella nostra città, decise di tenerla come base dove vivere. Ha sposato una bresciana, ha creato subito una cerchia di amici e per lui, nato in Lussemburgo da genitori emigrati per lavoro e cresciuto fino ai 14 anni nell’entroterra marchigiano (Piobbico) con una zia, aver messo radici in una città con il passare degli anni l’ha aiutato a trovare anche quella serenità necessaria per ottenere nel calcio i successi che merita un grande professionista com’è si è dimostrato e continua a dimostrare di essere il popolare Zorro.
Alla vigilia di Parma-Brescia, una chiacchierata con l’ex “centrocampista tascabile” di queste due squadre ci è sembrata il modo giusto per entrare nel vivo di un match molto delicato per entrambe: i ducali devono tornare a vincere per recuperare terreno verso almeno la zona play off, le rondinelle devono cancellare la sconfitta e la brutta prestazione con il Pisa.
Zoratto, come vede questo match?
“Devo essere sincero: con tutti gli impegni che ho con le Nazionali giovanili faccio fatica a seguire come vorrei anche il calcio dei grandi. Quando torno a Brescia però leggo, vedo e sento che la squadra che sta andando molto bene. A parte l’ultima partita con il Pisa, che può essere stato un incidente di percorso e lo scopriremo presto ovvero già domani sera. Da Parma invece m’informano, ma basta vedere la classifica per sapere che stanno andando molto male rispetto alle previsioni della vigilia. Non mi meraviglia: è la solita serie B. Essere accreditati al via del campionato non serve a nulla. La B ti obbliga a dimostrare partita dopo partita”.
Il Brescia è da serie A?
”Si. E’ attrezzato. Ha tanti stranieri in prima squadra, ma questo per noi del club Italia non è detto sia per forza un male: vorrà dire che gli italiani bravi per reggere il confronto fin dalle categorie giovanili dovranno essere ancora più forti. E’ una selezione naturale: chi resiste può venire convocato in azzurro”
Tra i giocatori che stanno facendo più fatica c’è Van de Looi, che gioca nel ruolo di playmaker, quello che occupava lei. Cosa serve per imporsi in una posizione del campo così delicata?
“Trovare un playmaker che detti i tempi della squadra è sempre più difficile. Io ho giocato contro Falcao, Matthaus, Cerezo, ma anche Platini e Kroll che si abbassavano o alzavano per impostare il gioco. In Italia vedo pochissimi top player: non è nemmeno più il tempo dei Baggio, Totti e Del Piero. Un playmaker deve avere i tempi di gioco e l’intelligenza tattica. Deve giocare a uno o massimo due tocchi, se ne fa tre ha già sbagliato la giocata. Deve sapere a chi dare la palla e a come darla. Io, ad esempio, sapevo che ad alcuni miei compagni potevo darla anche sporca perchè poi l’avrebbero ripulita mentre ad altri dovevo darla per forza in modo lineare”.

Nonostante la differenza di punti in classifica, la sensazione è che per il Brescia a Parma non sarà certo una passeggiata…
”Nel calcio d’oggi nessuna partita è una passeggiata. Il Parma ha giocatori di valore e ha appena preso un allenatore che in B porta punti. La classifica però esprime dei valori. Se il Brescia è secondo e il Parma in una posizione medio-bassa ci sono dei motivi. Il Brescia deve vincere questa partita prima di tutto sul piano psicologico. E’ il Parma ad avere l’acqua alla gola e se perde scivola ancora più basso. Il Brescia al limite passa da secondo a terzo e non è un dramma in questo momento del campionato. Inzaghi e i suoi facciano valere la loro forza anche mentale”.
A Brescia lei fu il cervello della squadra che passò in due anni dalla C alla A e andò vicinissima alla salvezza nel massimo campionato poi però iniziarono a dire che era finito e le fecero capire che era meglio andare altrove. A Parma rinacque. Chi sbagliò?
“Arrivai nel 1983 su richiesta di Orrico, al quale mi aveva segnalato Sacchi. Arrigo è stato e continua ad essere il mio mentore. Avevo dentro il furore, la voglia di emergere per quella che era la mia condizione famigliare. Orrico ci tirava il collo in allenamento, ma non mollavo mai. Era un allenatore innovativo poi arrivò Pasinato, che era molto diverso, ma con il quale raccogliemmo anche il lavoro del Sor Corrado. Pasinato non doveva essere mandato via: avremmo continuato un ciclo fantastico e ci saremmo salvati anche in serie A. Dopo altri due campionati di B, tra cui uno spareggio nel quale ci salvammo solo ai rigori, mi chiamò il direttore sportivo del Parma Pastorello e mi disse: “Il Brescia ci ha detto che puoi fare quello che vuoi”. Tradotto: dovevo cercarmi un’altra squadra. Anche perchè dovevano lanciare Corini. Nonostante fosse arrivato Varrella, che da uomo di Sacchi mi avrebbe tenuto volentieri. A Parma, sotto la proprietà Tanzi, vinsi subito il campionato di serie B e con Scala alzammo anche una Coppa UEFA, una Coppa Italia, una Supercoppa Europea e mi tolsi lo sfizio di esordire in Nazionale con Sacchi”.
Cosa trovò a Parma che fece la differenza?
“Un ambiente bellissimo. E un preparatore atletico eccezionale come Ivan Carminati, che mi diede una mano a risolvere quei problemi fisici che mi avevano tormentato negli ultimi due anni di Brescia”.
Con l’Italia come va?
”Molto bene. Viaggio tanto, ma mi diverto anche. Facciamo raduni territoriali per non farci scappare nulla. Diamo un’etica e una morale a questi ragazzi. Se uno viene espulso in campionato non lo chiamiamo. Idem chi si comporta male a scuola. Devo dire però che pur essendo età difficili, perchè stiamo parlando di adolescenti, siamo contenti dei nostri gruppi. Bisogna anche saper aspettare le varie maturazioni fisiche e psicologiche: c’è chi è pronto subito, chi è più tardivo. L’importante è inquadrarli e avere riscontri positivi”.
C’è anche qualche bresciano?
”Sì. Carlo Ghidini (centrocampista, nazionale Under 16, che nel Brescia viene fatto giocare sotto età nell’Under 17, ndr): è molto interessante”.